sabato 23 aprile 2016

Shakespeare

Shakespeare


I sonetti di Shakespeare

SONETTO 2
When forty winters shall beseige thy brow,
And dig deep trenches in thy beauty's field,
Thy youth's proud livery, so gazed on now,
Will be a tatter'd weed, of small worth held:
Then being ask'd where all thy beauty lies,
Where all the treasure of thy lusty days,
To say, within thine own deep-sunken eyes,
Were an all-eating shame and thriftless praise.
How much more praise deserved thy beauty's use,
If thou couldst answer 'This fair child of mine
Shall sum my count and make my old excuse,'
Proving his beauty by succession thine!
  This were to be new made when thou art old,
  And see thy blood warm when thou feel'st it cold.

Quando quaranta inverni faranno assedio alla tua fronte
Scavando trincee fonde nel campo della tua bellezza,
L´imponente livrea dell´ammirata giovinezza
Sarà ridotta a uno straccio d´abito tenuto in poco conto:
Se allora si chiedesse dove la tua bellezza giace,
Dove tutto il tesoro dei giorni caldi di vigore,
Dire: nei tuoi propri occhi infossati profondamente,
Mostrerebbe con indiscreta lode, ingiuria implacabile.
Ma quale lode ispirerebbe la tua bellezza logora
Se tu potessi replicare:’Questo mio ragazzino,
Assolverà il mio debito, scusabile farà ch´io invecchi’,
La sua bellezza dimostrandosi, per successione, tua!
  Sarebbe il tuo rinnovamento quando già sarai vecchio,
  Vedresti il tuo sangue ardere quando già ne sentirai il gelo.

(Traduzione di Giuseppe Ungaretti)

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SONETTO 22
My glass shall not persuade me I am old
so long as youth and thou are of one date;
but when in thee time's furrows I behold,
then look I death my days should expiate.
For all that beauty that doth cover thee
is but the seemly raiment of my heart,
which in thy breast doth live, as thine in me:
how can I then be elder than6 thou art?
O, therefore, love, be of thyself so wary
as I, not for myself, but for thee will,
bearing thy heart, which I will keep so chary
as tender nurse her babe from faring ill.
  Presume not on thy heart when mine is slain;
  thou gav'st me thine, not give back again.

Allo specchio, ancor giovane mi credo
ché Giovinezza e te siete una cosa.
Ma se una ruga sul tuo volto io vedo
saprò che anche per me morte non posa.
Quella beltà che ti ravvolge è ancora
parvenza del mio cuore che nel tuo
alberga – e il tuo nel mio -; e come allora
decidere chi è il vecchio di noi due?
Poni in serbo il tuo cuore, ed io lo stesso
farò di me: del tuo così zelante
come fida nutrice in veglia presso
la cuna, che ogni morbo stia distante.
  Spento il mio cuore, invano il tuo riprendere
  vorresti: chi l'ha avuto non lo rende.

(Traduzione di Eugenio Montale)

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SONETTO 43
When most I wink, then do mine eyes best see,
For all the day they view things unrespected;
But when I sleep, in dreams they look on thee,
And darkly bright are bright in dark directed.
Then thou, whose shadow shadows doth make bright,
How would thy shadow's form form happy show
To the clear day with thy much clearer light,
When to unseeing eyes thy shade shines so!
How would, I say, mine eyes be blessed made
By looking on thee in the living day,
When in dead night thy fair imperfect shade
Through heavy sleep on sightless eyes doth stay!
  All days are nights to see till I see thee,
  And nights bright days when dreams do show thee me.

Più chiudo gli occhi e tanto più rivedo
Durante il giorno cose non guardate:
Ma, se dormo, nei sogni in te soltanto
Buio fulgore scrutano il tuo buio.
E se con la tua ombra ombre fai di luce
Quale gioiosa vista sarebbe la tua ombra
Nel chiaro giorno a luce ancor più chiara,
Se tanto splende a occhi senza vista?
Ossia: quanto beati sarebbero i miei occhi
Per contemplare te nel vivo giorno,
Se nella morta notte la tua pur imperfetta
Ombra nel sonno appare a occhi senza vista?
  I giorni sono notti finché io guardo te,
  Pieno giorno le notti se in sogno appari a me.

(Traduzione di Giovanni Giudici)

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Shakespeare

E dunque sono trascorsi 400 anni dalla morte di WIlliam Shakespeare, uno dei più grandi autori teatrali della storia, se non il massimo: battezzato a Stratford-upon-Avon il 26 aprile del 1564 – ignota è la data di nascita, ivi morì il 23 aprile del 1616, nello stesso giorno in cui abbandonarono questa terra altri due grandissimi scrittori, Miguel de Cervantes e Garcilaso de la Vega.

Shakespeare lasciò anche 154 Sonetti: scritti tra il 1591 e il 1604, sono un ossessivo ripetersi di temi che vertono intorno ad alcuni grandi gruppi: la bellezza del giovane amato (sì, il Bardo, che aveva moglie e tre figli, era bisessuale), l'invito al giovane a riprodursi per perpetuare questa bellezza, la promessa di eterna fedeltà, la gelosia verso un poeta rivale, la comparsa finale di una “dama scura’, incarnazione di un amore infedele e spesso crudele, una fascinosa figura del male. Ne propongo tre nella traduzione di altrettanti grandi poeti italiani: Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale e Giovanni Giudici.

Il canto delle sirene link esterno

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