Occhi miei chiari, miei capelli di miele
Ma no, non eri venuta solo per dirmi una cosa importante e definitiva. Eri venuta per amarmi ancora, o ancora una volta, almeno. L'ho capito mentre cenavamo in veranda, avevo preparato le squisitezze di cui sei ghiotta: foie gras su foglie di lattuga, pollo freddo con maionese, lo champagne che preferisci. E tu mi guardavi nella penombra come non mi hai mai guardato in questi cinque anni, avevi gli occhi umidi, e nelle tue pupille guizzava la fiamma della candela. E io ho capito che c’era una nota di strazio in quel tardivo amore che sentivi per me e che era giunto alla fine, perché l’altro è più grande e il nostro impossibile. Ma che, allo stesso tempo, il dolore che provavi nel recarmi dolore rendeva l’amore che hai per me più prezioso e intenso, e ad esso potevi abbandonarti come in un impeto di smemoratezza e di resa. E così non c’è stato neppure bisogno che tu mi dicessi “la cosa impor- tante” per la quale apparentemente eri venuta. È bastato andarcene a letto, in quel grande letto dove ci siamo amati tante volte, e mi_è bastato, senza che tu dicessi niente, perché da solo capissi che lui era tornato. Perché, dopo oltre cinque anni di amore, per la prima volta, ieri notte, mi hai baciato il membro. E io, mentre tu mi regalavi quello che mai mi avevi regalato, ripensavo a una poesia di cui conservavo un vivo ricordo, una poesia che dice che tutto quello che fino ad allora ero stato e ciò che mi era stato negato ormai mi era liberamente offerto, e il tuo non era omaggio di schiava accucciata nel buio, ma regalo di regina che diventava cosa mia, mi circolava nel sangue, e il mio tempo di ragazzo e il tempo che mi restava da vivere rifiorivano mescolati insieme, perché tu mi baciavi il membro. E poi la tua passione è scoppiata con un'intensità che mai aveva avuto, e quando ti ho penetrata ti è bastato un istante, un minuscolo istante per quel suono di piacere e di liberazione e di disperazione grandiosa che mai avevo sentito uscire così alto dalla tua bocca, e ah, finalmente, anche tu avevi raggiunto il tuo “petit rien”, che è il succedaneo dell'assoluto.
E ora che lui è tornato, miei occhi chiari e miei capelli di miele, ora che è di nuovo tuo e non porti più nel cuore l’ombra che il suo abbandono ti aveva lasciato, ora che non c’è più in te quella stupida pena che con il mio affetto e la mia attenzione ho cercato invano di lenire in questi anni, ma al contrario provi tu pena per lui, perché sai di averlo tradito, e allo stesso tempo provi pena per me, pensando alla pena che mi darai lasciandomi, ora, finalmente, il nostro amore potrà essere pieno e assoluto, nonostante la mia età, il che ha poi un'importanza relativa, perché a te non dispiacciono gli uomini vecchi se sanno amare come so amarti io. E poi, vecchio già non sono più: sono di nuovo giovane. Davvero, sono giovane come trentanni fa, quando ti desideravo in quelle re- mote vacanze d'inverno e mi era proibito farti mia.
Antonio Tabucchi - si sta facendo sempre più tardi
La poesia citata nel testo è di Carlos Drummond De Andrade dal titolo
" Era un mattino di settembre"
[>>leggi la poesia]
Ma no, non eri venuta solo per dirmi una cosa importante e definitiva. Eri venuta per amarmi ancora, o ancora una volta, almeno. L'ho capito mentre cenavamo in veranda, avevo preparato le squisitezze di cui sei ghiotta: foie gras su foglie di lattuga, pollo freddo con maionese, lo champagne che preferisci. E tu mi guardavi nella penombra come non mi hai mai guardato in questi cinque anni, avevi gli occhi umidi, e nelle tue pupille guizzava la fiamma della candela. E io ho capito che c’era una nota di strazio in quel tardivo amore che sentivi per me e che era giunto alla fine, perché l’altro è più grande e il nostro impossibile. Ma che, allo stesso tempo, il dolore che provavi nel recarmi dolore rendeva l’amore che hai per me più prezioso e intenso, e ad esso potevi abbandonarti come in un impeto di smemoratezza e di resa. E così non c’è stato neppure bisogno che tu mi dicessi “la cosa impor- tante” per la quale apparentemente eri venuta. È bastato andarcene a letto, in quel grande letto dove ci siamo amati tante volte, e mi_è bastato, senza che tu dicessi niente, perché da solo capissi che lui era tornato. Perché, dopo oltre cinque anni di amore, per la prima volta, ieri notte, mi hai baciato il membro. E io, mentre tu mi regalavi quello che mai mi avevi regalato, ripensavo a una poesia di cui conservavo un vivo ricordo, una poesia che dice che tutto quello che fino ad allora ero stato e ciò che mi era stato negato ormai mi era liberamente offerto, e il tuo non era omaggio di schiava accucciata nel buio, ma regalo di regina che diventava cosa mia, mi circolava nel sangue, e il mio tempo di ragazzo e il tempo che mi restava da vivere rifiorivano mescolati insieme, perché tu mi baciavi il membro. E poi la tua passione è scoppiata con un'intensità che mai aveva avuto, e quando ti ho penetrata ti è bastato un istante, un minuscolo istante per quel suono di piacere e di liberazione e di disperazione grandiosa che mai avevo sentito uscire così alto dalla tua bocca, e ah, finalmente, anche tu avevi raggiunto il tuo “petit rien”, che è il succedaneo dell'assoluto.
E ora che lui è tornato, miei occhi chiari e miei capelli di miele, ora che è di nuovo tuo e non porti più nel cuore l’ombra che il suo abbandono ti aveva lasciato, ora che non c’è più in te quella stupida pena che con il mio affetto e la mia attenzione ho cercato invano di lenire in questi anni, ma al contrario provi tu pena per lui, perché sai di averlo tradito, e allo stesso tempo provi pena per me, pensando alla pena che mi darai lasciandomi, ora, finalmente, il nostro amore potrà essere pieno e assoluto, nonostante la mia età, il che ha poi un'importanza relativa, perché a te non dispiacciono gli uomini vecchi se sanno amare come so amarti io. E poi, vecchio già non sono più: sono di nuovo giovane. Davvero, sono giovane come trentanni fa, quando ti desideravo in quelle re- mote vacanze d'inverno e mi era proibito farti mia.
Antonio Tabucchi - si sta facendo sempre più tardi
La poesia citata nel testo è di Carlos Drummond De Andrade dal titolo
" Era un mattino di settembre"
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