Domenico Starnone
Aveva una memoria vaghissima dei fatti raccontati nella lettera. Il nome stesso della mittente, Mariella Ruiz, non gli diceva niente. La ragazza se la ricordava appena: graziosa, minuta, con occhi grandi e mani sottili, ombra anonima in un cinema vuoto di una città dove in seguito era tornato assai di rado. Probabile che le avesse fatto un po’ di corte, ma senza finalità sessuali, solo per gioco.
Lei però a un certo punto, stupendolo, gli aveva preso il cazzo. Oppure no: gli pareva – anche se lei non lo raccontava – di aver cominciato lui baciandola sul collo. O forse, si disse, faccio confusione con altre situazioni, ho ricordi sfaldati, detriti ammucchiati solo intorno a due o tre picchi importanti.
Fatto sta che il cazzo per la sorpresa gli si era gonfiato in un lampo. Le ragazze, all’epoca, non facevano quelle cose al primo incontro, o almeno non le aveva fatte Nina. Quando erano ancora adolescenti, c’erano volute settimane per convincerla a prenderglielo in mano, e anche da sposati aspettava sempre che fosse lui a cominciare.
[...]
Il cazzo (che vergogna: Ari sorrise tra sé e sé) gli era esploso come un congegno troppo sensibile. Gambia non aveva mormorato nemmeno scusa, aveva finto di essere molto interessato al film. Una volta tornati nello studio dell’avvocato, l’aveva pregata di tenere d’occhio l’orologio, non voleva perdere il treno. Da quel momento erano successe cose – insignificanti, si badi: in seguito aveva avuto vicende ben piú interessanti – che lei nella lettera non raccontava, chissà perché. Al termine dell’incontro, Ursi s’era offerto di accompagnarlo alla stazione. Ari uscendo aveva fatto finta di dimenticare il suo bagaglio, che era un vecchio sacco di quelli che una volta erano usati dagli studenti per portare i libri. Nemmeno la ragazza era sembrata ricordarsene.
Una volta in strada, lui aveva esclamato: ommadonna, avvocato, il mio bagaglio, ed era risalito in fretta facendo le scale a due a due. Aveva bussato, lei gli aveva aperto. Tutto si era svolto in fretta. Le aveva sollevato la gonna, le aveva messo dentro il cazzo con una tale forza, che la ragazza aveva detto ah o chissà cosa, l’alito tiepido. Ma Ari non ci aveva fatto caso, nel giro di pochi minuti scanditi da colpi furiosi s’era sentito di nuovo montare lo sperma e si era tirato via proprio mentre schizzava seme. Ciao, le aveva detto. Aveva afferrato il sacco ed era scappato.
Autobiografia erotica di Aristide Gambia
Domenico Starnone
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