Quando i suoi genitori erano andati a letto, Gregor aveva aperto la porta e si era infilato sotto le mie coperte. “No,” avevo bisbigliato, “non qui.” “Allora vieni nel fienile.” Mi si erano appannati gli occhi. “Non posso, se tua madre se ne accorge?”
Non avevamo mai fatto l’amore. Non l’avevo mai fatto con nessuno.
Gregor mi aveva accarezzato piano le labbra, ne aveva disegnato il perimetro, poi aveva premuto il polpastrello sempre più forte, fino a scoprire i denti, aprirmi la bocca, ficcarci dentro due dita. Le avevo sentite asciutte sulla lingua. Avrei potuto serrare la mandibola, morderlo. Gregor non ci aveva nemmeno pensato. Si è sempre fidato di me.
Nella notte non avevo resistito, ero salita in soffitta e avevo aperto io la porta. Gregor dormiva. Avevo accostato le labbra dischiuse alle sue, per mescolare i respiri, si era svegliato. “Volevi sapere che odore ho nel sonno?” mi aveva sorriso. Gli avevo spinto uno poi due poi tre dita in bocca, avevo sentito la bocca allargarsi, la saliva bagnarmi. Questo era l’amore: una bocca che non morde. O la possibilità di azzannare a tradimento, come un cane che si ribella al padrone.
Indossavo la collana di pietre rosse, quando durante il viaggio di ritorno mi aveva afferrato la nuca. Non era accaduto nel fienile dei suoi, ma in una cabina senza oblò.
Rosella Pastorino
Le assaggiatrici
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