Il seno (Anne Sexton)
Ecco la chiave d’accesso.
Ecco la chiave di tutto.
Preziosa.
Sono peggio dei figli del guardacaccia,
che piluccano polvere e pane.
Io qui vo spizzicando l’odore.
Fammi sdraiare sul tappeto,
sul materasso di paglia – quel che hai a portata di mano,
perché la bambina dentro me sta morendo, morendo.
Non ch’io sia bestiame da macelleria.
Non ch’io sia una specie di via.
Ma le tue mani come un architetto m’hanno inventata.
Bricco di latte! Era tuo anni fa
quando vivevo nella valle delle mie ossa,
ossa mute nella palude. Ninnoli.
Forse uno xilofono con la pelle
tesa sopra rozzamente.
Solo dopo divenne qualcosa di vero.
E paragonavo la mia taglia a quella delle dive.
Non reggevo il confronto. Qualcosa
tra un spalla e l’altra c’era. Mai abbastanza.
Certo, c’era un giardino,
ma nessun ragazzo a cantarne la verità.
Nessun tramite per dirla.
Non conoscendo uomo giacevo accanto alle mie sorelle
e risorgendo dalle ceneri gridavo
il mio sesso sarà trafitto!
Ora sono tua madre, tua figlia,
la tua cosa nuova di zecca – una chiocciola, un nido.
Sono viva quando le tue dita son vive.
Indosso seta – che vela e svela –
perché alla seta voglio farti pensare.
Ma non mi piace la stoffa. È troppo severa.
Così dì quel che ti pare ma inerpicati come un rampicante
perché qui è l’occhio, qui il gioiello,
qui l’eccitazione che il capezzolo impara.
Io sono squilibrata – ma non sono pazza come la neve.
Sono folle come le ragazze son folli,
con un’offerta, un’offerta...
Brucio come bruciano i soldi.
Anne Sexton
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