Javier Marias *** Così ha inizio il male
Allora tutto accelerò e successe molto in fretta. Lei si alzò, scostò lo sgabello e si voltò verso di me, e in un solo movimento incollò il suo corpo al mio tutt’intero, come aveva fatto con Muriel quella notte quando, inaspettatamente, lui le aveva finalmente concesso ciò che chiedeva.
Sentii nel contempo l’abbraccio del suo torace e del suo addome e delle sue gambe e braccia, se si può dire che tutte queste cose abbraccino: i suoi seni premuti contro il mio petto, la pelvi contro la mia, le cosce contro le mie, le sue braccia che mi circondavano con forza eccessiva, e perfino i suoi piedi sopra i mei, come se vi fosse salita su per raggiungere la mia statura, solo che lei era alta e non ne aveva bisogno, con i tacchi era piú alta di me.
Per un attimo ebbi la sensazione di unirmi a una creatura soprannaturale, a una gigantessa, non tanto per le dimensioni, che erano abbondanti ma normali, quanto per la fusione cui mi sottopose senza vie di scampo, per l’adesione assoluta del suo corpo al mio, con il quale aveva formato un tutt’uno in un solo istante e senza preamboli.
La sola cosa che non uní alla mia fu la bocca, e quando gliela cercai la evitò, e mi offrí il collo e la guancia: «No, niente baci», ebbi il tempo di pensare, come forse Beatriz aveva detto a Van Vechten al termine del suo coito sacro e profano, «No, niente carezze», io dal mio albero non li sentivo. «Non, pas de baisers, pas de caresses», qualcosa del genere avevo letto in un romanzo francese, tanto che questi divieti mi risuonarono nella mente in quella lingua. E nemmeno disse nulla né io dissi nulla finché durò quella strana e perfetta giustapposizione, in piedi, in cucina, davanti al frigorifero. Quindi anche «Non, pas de mots», ovvero «No, niente parole».
Fui colto dall’impazienza, ebbi fretta che succedesse quello che si presagiva. Temetti che potesse tirarsi indietro, che si staccasse da me, o che fossi io a scostarla, a tenerla bruscamente a distanza mettendole una mano sulla spalla, come aveva fatto Muriel con gesto autoritario dopo avere a stento tollerato la sua sovrapposizione abusiva, seguita all’inaspettato abbraccio che le aveva concesso, forse dettato dalla commiserazione.
Il mio abbraccio non era affatto di quel genere, era giovanilmente lussurioso o elementarmente lascivo, ho già detto che a quell’età è difficile rinunciare a un’occasione, crediamo di doverne approfittare sempre, o quasi, almeno, escludendo soltanto quelle che ci danno una sensazione di sgradevolezza nitida e assoluta, quelle che non possono annunciarsi neppure come materia di rammemorazione, di ricordo, come immagine tenuta in serbo per l’uomo maturo o attempato che un giorno saremo e del quale non sappiamo né immaginiamo ancora nulla, e che tuttavia, misteriosamente, si affaccia al nostro inconscio come un fantasma del futuro.
È quell’uomo attempato a bisbigliarci ogni tanto nella piena gioventú: «Stai bene attento a questa esperienza, non perderti un solo particolare, vivila fino in fondo pensando a me, come se sapessi che non si ripeterà mai piú se non nella rievocazione, che sarà la mia; imprimitela nella retina come le sequenze e le inquadrature piú memorabili di un film; non potrai conservare l’eccitazione, né riviverla, ma la sensazione di trionfo, e soprattutto il ricordo, sí: saprai che questo è accaduto e lo saprai per sempre; cattura ogni cosa intensamente, osserva bene questa donna e serba tutto con cura, perché piú avanti io te lo chiederò e tu dovrai darmelo come consolazione».
Seppi in modo lampante che questo era uno di quei casi. Non vi era la minima sensazione di sgradevolezza, al contrario, però se c’era il rischio che mi tirassi indietro (per la verità molto ridotto, lo riconobbi subito) era perché mi sfiorava il pensiero di commettere una bassezza. Non solo per lealtà nei confronti di Muriel; giunsi anche a domandarmi se non stessi approfittando del probabile stato di disorientamento e confusione e fragilità di Beatriz
Javier Marias *** Così ha inizio il male
Allora tutto accelerò e successe molto in fretta. Lei si alzò, scostò lo sgabello e si voltò verso di me, e in un solo movimento incollò il suo corpo al mio tutt’intero, come aveva fatto con Muriel quella notte quando, inaspettatamente, lui le aveva finalmente concesso ciò che chiedeva.
Sentii nel contempo l’abbraccio del suo torace e del suo addome e delle sue gambe e braccia, se si può dire che tutte queste cose abbraccino: i suoi seni premuti contro il mio petto, la pelvi contro la mia, le cosce contro le mie, le sue braccia che mi circondavano con forza eccessiva, e perfino i suoi piedi sopra i mei, come se vi fosse salita su per raggiungere la mia statura, solo che lei era alta e non ne aveva bisogno, con i tacchi era piú alta di me.
Per un attimo ebbi la sensazione di unirmi a una creatura soprannaturale, a una gigantessa, non tanto per le dimensioni, che erano abbondanti ma normali, quanto per la fusione cui mi sottopose senza vie di scampo, per l’adesione assoluta del suo corpo al mio, con il quale aveva formato un tutt’uno in un solo istante e senza preamboli.
La sola cosa che non uní alla mia fu la bocca, e quando gliela cercai la evitò, e mi offrí il collo e la guancia: «No, niente baci», ebbi il tempo di pensare, come forse Beatriz aveva detto a Van Vechten al termine del suo coito sacro e profano, «No, niente carezze», io dal mio albero non li sentivo. «Non, pas de baisers, pas de caresses», qualcosa del genere avevo letto in un romanzo francese, tanto che questi divieti mi risuonarono nella mente in quella lingua. E nemmeno disse nulla né io dissi nulla finché durò quella strana e perfetta giustapposizione, in piedi, in cucina, davanti al frigorifero. Quindi anche «Non, pas de mots», ovvero «No, niente parole».
Fui colto dall’impazienza, ebbi fretta che succedesse quello che si presagiva. Temetti che potesse tirarsi indietro, che si staccasse da me, o che fossi io a scostarla, a tenerla bruscamente a distanza mettendole una mano sulla spalla, come aveva fatto Muriel con gesto autoritario dopo avere a stento tollerato la sua sovrapposizione abusiva, seguita all’inaspettato abbraccio che le aveva concesso, forse dettato dalla commiserazione.
Il mio abbraccio non era affatto di quel genere, era giovanilmente lussurioso o elementarmente lascivo, ho già detto che a quell’età è difficile rinunciare a un’occasione, crediamo di doverne approfittare sempre, o quasi, almeno, escludendo soltanto quelle che ci danno una sensazione di sgradevolezza nitida e assoluta, quelle che non possono annunciarsi neppure come materia di rammemorazione, di ricordo, come immagine tenuta in serbo per l’uomo maturo o attempato che un giorno saremo e del quale non sappiamo né immaginiamo ancora nulla, e che tuttavia, misteriosamente, si affaccia al nostro inconscio come un fantasma del futuro.
È quell’uomo attempato a bisbigliarci ogni tanto nella piena gioventú: «Stai bene attento a questa esperienza, non perderti un solo particolare, vivila fino in fondo pensando a me, come se sapessi che non si ripeterà mai piú se non nella rievocazione, che sarà la mia; imprimitela nella retina come le sequenze e le inquadrature piú memorabili di un film; non potrai conservare l’eccitazione, né riviverla, ma la sensazione di trionfo, e soprattutto il ricordo, sí: saprai che questo è accaduto e lo saprai per sempre; cattura ogni cosa intensamente, osserva bene questa donna e serba tutto con cura, perché piú avanti io te lo chiederò e tu dovrai darmelo come consolazione».
Seppi in modo lampante che questo era uno di quei casi. Non vi era la minima sensazione di sgradevolezza, al contrario, però se c’era il rischio che mi tirassi indietro (per la verità molto ridotto, lo riconobbi subito) era perché mi sfiorava il pensiero di commettere una bassezza. Non solo per lealtà nei confronti di Muriel; giunsi anche a domandarmi se non stessi approfittando del probabile stato di disorientamento e confusione e fragilità di Beatriz
Javier Marias *** Così ha inizio il male
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