lunedì 14 dicembre 2015

perdere completamente il senso della realtà


È stata brava, Irene – ma che brava, è stata – a fermarsi prima del tempo. È tutto lí il segreto, recidere sul piú bello, non è cosí? Essere quanto piú drastici si riesce, e poi lavorare di logica per assolversi a solitudine ritrovata. Razionalizzare, si diceva una volta e forse si dice ancora. E quanto ha razionalizzato, Irene. Che cosa non s’è raccontata per convincersi.
 
Un cliché. Una tresca casalinga. Fra tutte, quella che mi ha sempre irritato. La piú ovvia, la piú abbordabile, praticata dai poveri di risorse. Fatta con quello che ti trovi intorno, senza intraprendenza, senza sprechi d’energie, come la cena con gli avanzi che ho preparato la sera che m’è arrivato in casa. Neanche la statura di andare in giro e trovartelo da te, un amante. Come le coppie che si formano rapinandosi a vicenda. I mariti delle altre o i vecchi amici che a un tratto guardi con occhi nuovi. L’usato garantito. A domicilio, per giunta. Il collega di tuo marito dai lineamenti regolari venuto a cena, Dio santo. Il primo che ti è entrato in casa e ti ha fatto un minimo di gesti adeguati. Basta cosí poco per cadere nelle braccia di un altro, alle spalle di un uomo fiducioso e innamorato che non sa, non sospetta, non ti crede all’altezza di un gesto cosí basso e banale? Tutto qui il valore che hai dato al tuo matrimonio?
 
E come la metti con te stessa, come ti difendi, cosa ti racconti? Non sono stata io, ho solo aperto la porta, è successo? Me ne stavo tranquilla per i fatti miei, è stato lui a stanarmi? Ma che posizione inattaccabile. Che sceneggiatura originale. Che storia edificante. Scopare negli alberghi, un vero traguardo. Cenare nei ristoranti fuori mano. Sentirti gelare il sangue se ti sembra che sia entrato qualcuno che conosci anche soltanto indirettamente. Nasconderti. Mentire abitualmente, preventivamente, utilizzare qualsiasi occasione o combinazione di circostanze appaia adatta a giustificare la prossima fuga. Tornare a casa e sentirti estranea. Mantenere un equilibrio. Pensare di affittare un appartamento per i vostri incontri, per simulare una vita che non potete permettervi. Ma basta. Fermati finché ancora ragioni. Fermati prima di perdere completamente il senso della realtà e trascinare tutto in rovina credendo di avere ancora il controllo della situazione mentre precipiti.
 
Tanto questa storia finirà, lo sapete tutti e due, vi state solo divorando, tu non lascerai tuo marito né lui sua moglie e i suoi figli, anche se ti ama e tu lo ami e quando siete insieme tutto il resto smette di contare (diventa resto, appunto, lo chiami cosí, te ne accorgi?); le storie, e tu lo sai, devono avere un’origine semplice per evolversi, non durano se devono riabilitarsi, lottare, vincere, infliggersi e procurare sofferenze invece di dedicarsi serenamente a se stesse. E poi dimmi, è cosí importante la tua felicità? Deve proprio occupare il centro del mondo? Ma quanto sei importante, tu?
 
È stata brava, Irene – ma che brava, è stata – a confezionarsi il trattatello moralista. La requisitoria ha funzionato. Si è convinta. Lui, quando se n’è andato, ha detto che non avrebbero avuto un’altra possibilità. Che dovevano stare insieme subito oppure mai piú. E lei gli ha risposto, un po’ scherzando un po’ tremando nelle labbra, che le sembrava d’essere in un film, quando lui dice a lei partiamo, lasciamo tutto, andiamo via stanotte, ti aspetto alla stazione.
 
Non sto recitando, aveva detto lui, o prendiamo questa decisione adesso o finisce tutto e per sempre.
E lei in quel momento aveva provato sollievo, perché sapeva che era un uomo di parola, e che l’avrebbe mantenuta. E cosí ha fatto.
Brava, Irene.
Ma che brava sei stata.


Diego De Silva Mancarsi


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