Non si può essere fedeli nel raccontare la fine di una storia. Anche se sembra un controsenso (ma è solo una delle tante ipocrisie necessarie che ci toccano), quando viene il momento di dare la notizia siamo portati a non dir male della persona che abbiamo (o ci ha) lasciato. Anche se ci ha ferito piú di chiunque altro, e non riusciremmo a perdonarla nemmeno se volessimo. Dobbiamo fare informazione, e temiamo l’apprezzamento del pubblico. Abbiamo paura che non capisca, che giudichi dal titolo, senza leggere; e in questo modo faccia scempio di tutto quello che c’era dietro e prima, tutto quello che per noi ha avuto senso e valore ed era nostro.
Allora studiamo una versione ufficiale della fine, che esponiamo sereni, pazientemente disposti a spiegare, come se il nostro atteggiamento benevolo verso le ragioni dell’altro, cosí diverse dalle nostre, facesse passare l’idea che non abbiamo fallito del tutto.
Non è il semplice orgoglio che ci spinge a impegnarci in questa finzione (a volte costruita fin nei minimi dettagli, con pause, sospensioni e calcolate incertezze che affiniamo di atto in atto): è l’unico modo, per quanto disperato e falso, che ci resta per non tradire qualcosa che abbiamo amato.
Diego De Silva Mancarsi
Allora studiamo una versione ufficiale della fine, che esponiamo sereni, pazientemente disposti a spiegare, come se il nostro atteggiamento benevolo verso le ragioni dell’altro, cosí diverse dalle nostre, facesse passare l’idea che non abbiamo fallito del tutto.
Non è il semplice orgoglio che ci spinge a impegnarci in questa finzione (a volte costruita fin nei minimi dettagli, con pause, sospensioni e calcolate incertezze che affiniamo di atto in atto): è l’unico modo, per quanto disperato e falso, che ci resta per non tradire qualcosa che abbiamo amato.
Diego De Silva Mancarsi
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