venerdì 4 dicembre 2015

La camicia da notte lasciava trasparire piú del dovuto





Non aveva vestaglia o altro, solo quella camicia da notte piuttosto corta che scopriva le sue gambe forti fino a mezza coscia, e inizialmente la credetti scalza, i suoi passi non facevano rumore o il rumore era talmente lieve che poteva essere attribuito alle inquietudini di qualunque vecchio parquet, talvolta sembra che i pavimenti si lamentino di quello che è accaduto su di loro, un po’ come gli antichi vascelli, anche se molto di meno perché non ballano e non viaggiano.

La camicia da notte era bianca o écru, di seta, e doveva essere lievemente trasparente oppure, per effetto della luce – una discreta applique del corridoio –, lasciava trasparire piú del dovuto, permettendomi di vederla quasi nuda, ma avvolta da una stoffa leggera, che forse è il modo piú attraente di vedere la nudità di un corpo attraente, perché la visione conserva un che di divinatorio, di clandestino e furtivo.
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Io conservo ancora l’immagine di Beatriz Noguera quella notte: riuscii a intravedere – o forse un po’ di piú che intravedere – che sotto quella camicia da notte non c’era niente, neppure quel minimo indumento intimo che molte donne preferiscono tenere addosso anche durante il sonno, forse come protezione scaramantica, forse per non correre il rischio di macchiare le lenzuola con umidori involontari.
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Doveva avere circa vent’anni piú di me, e fino ad allora io l’avevo guardata con distante apprezzamento, crescente compassione e – come dirlo senza malintesi – una vaga ammirazione sessuale cosí smorzata e latente da essere, in realtà, puramente teorica: come se appartenesse a un’altra esistenza ipotetica, a un altro io che mai si sarebbe sognato di entrare in scena, nemmeno sul piano della fantasia (la vita reale ci occupa a tal punto che non ci lascia il tempo di elaborarne una immaginaria, parallela).

Javier Marias *** Così ha inizio il male





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