Javier Marias *** Così ha inizio il male
e mentre ero in piedi e la osservavo dall’alto, mi si ampliò la visione della scollatura, di quel che c’era dentro, voglio dire, e soprattutto, nei pochi secondi in cui rimasi alle sue spalle, vicinissimo, mi venne voglia di allungare una mano oppure di posargliele tutte e due sulle spalle e di lí farle scivolare piú giú, non di colpo, ma a poco a poco e distrattamente, finché lei mi avrebbe fermato, o forse no, mi avrebbe gridato «Ma che fai?», e allora mi sarei spaventato, sarei arrossito e poi mi sarei scusato, oppure lei avrebbe taciuto e me lo avrebbe permesso, rendendosene conto, certo, ma facendo finta di niente fino al momento in cui sarebbe stato impossibile non riconoscere verbalmente quel contatto, che nel frattempo poteva essere diventato d’altra natura, anche se è vero che tutto può svolgersi in modo inarticolato, nessuno deve per forza parlare né dire nulla, può comunicare per mezzo di ansiti, oppure questi possono venir soffocati, chissà quanti sono stati tenuti nascosti, silenziosi come se non ci fossero mai stati, in realtà non esiste una regola e nulla è impossibile tra le persone che si uniscono.
E cosí rimasi lí, dietro di lei – non furono piú di pochi secondi –, e pensai di poter fare la prima mossa senza che Beatriz vi percepisse nulla di sospetto o sconveniente, posarle le mani sulle spalle in modo amichevole, come per confortarla con il contatto; tanto piú che nelle notti insonni sono ammissibili molte cose, come se lo stato di veglia fosse in qualche modo contaminato dal sonno che si nega e che dovrebbe prenderne il posto, e tutto avvenisse sotto il suo dominio, in una vita non interamente nostra, nebulosa, ipotetica e parallela. Mi decisi, le posai le mani sulle spalle con delicatezza e contemporaneamente le parlai per mascherare quel gesto audace, in modo che non fosse quella l’unica cosa cui avesse da pensare in quel momento:
Javier Marias *** Così ha inizio il male
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