lettera di Antonia Pozzi a Vittorio Sereni (frammento )
[...] Mi sento più che mai Tonia Kröger, come mi chiamava il povero Manzi, come ci siamo sentiti – insieme – quella sera da Alberto. Ti ricordi, Vittorio? Io quella sera ho resistito solo perché avevo te vicino e fin che vivrò mi ricorderò di quello che mi sei stato in quelle ore. Ma tu un giorno mi hai detto una cosa che oggi mi rimorde terribilmente: mi hai detto che io sono molto nobile, che non so che cosa sia la volgarità. Se mi vedessi oggi, Vittorio: che spacco tremendo è avvenuto in me, che crollo. Da una parte l’Antonia delle poesie e dei buoni principi, dall’altra un essere senza volontà e senza centro, che ascolta senza reagire i discorsi più brutali e quando gli occhi che ha di fronte diventano cinici – non più né fraterni né pietosi – non si alza, non va via, ma resta lì come ipnotizzata ad aspettare quelle carezze che sa che le vengono date – non per pietà – ma per gioco, uno stupido gioco che non costa nulla e può costare una vita.
Vittorio, tu sei la sola persona a cui oso confidare questa vergogna. E non so quello che succederà. Questa lettera mi sembra quasi il testamento dell’Antonia che hai conosciuta tu, il grido dell’acqua prima di cadere. E poi no, certamente no. Perché io sono troppo vile per andare fino in fondo. E chi gioca è in fondo troppo serio e onesto per volere che sia un gioco mortale. Ma è questo decadere di tutta me stessa, questo franare senz’argini che mi atterrisce e non vedo nessuna salvezza.
Forse, se potessimo essere ancora vicini, credere insieme a tante cose che ci sono care in comune, sarebbe diverso. Hai letto Bisogno di una sorella di Civinini? Ecco, tu sei stato così per me: quell’essere di sesso diverso, così vicino che pare abbia nelle vene lo stesso tuo sangue, che puoi guardare negli occhi senza turbamento, che non ti è né di sopra né di fronte, ma a lato, e cammina con te per la stessa pianura. Con te ho vissuto la morte del povero Gianni, una sera; abbiamo cullato in un treno domenicale le nostre malinconie simili e diverse; un giorno abbiamo ascoltato June in January e le tue poesie mi hanno fatto piangere, non forse per quello che dicevano, ma per il mondo di battiti che mi facevano nascere dentro e quella certezza, che solo la tua poesia sapeva crearmi quel mondo e solo quel mondo era la mia vera e più pura vita. [...]
Antonia Pozzi
[...] Mi sento più che mai Tonia Kröger, come mi chiamava il povero Manzi, come ci siamo sentiti – insieme – quella sera da Alberto. Ti ricordi, Vittorio? Io quella sera ho resistito solo perché avevo te vicino e fin che vivrò mi ricorderò di quello che mi sei stato in quelle ore. Ma tu un giorno mi hai detto una cosa che oggi mi rimorde terribilmente: mi hai detto che io sono molto nobile, che non so che cosa sia la volgarità. Se mi vedessi oggi, Vittorio: che spacco tremendo è avvenuto in me, che crollo. Da una parte l’Antonia delle poesie e dei buoni principi, dall’altra un essere senza volontà e senza centro, che ascolta senza reagire i discorsi più brutali e quando gli occhi che ha di fronte diventano cinici – non più né fraterni né pietosi – non si alza, non va via, ma resta lì come ipnotizzata ad aspettare quelle carezze che sa che le vengono date – non per pietà – ma per gioco, uno stupido gioco che non costa nulla e può costare una vita.
Vittorio, tu sei la sola persona a cui oso confidare questa vergogna. E non so quello che succederà. Questa lettera mi sembra quasi il testamento dell’Antonia che hai conosciuta tu, il grido dell’acqua prima di cadere. E poi no, certamente no. Perché io sono troppo vile per andare fino in fondo. E chi gioca è in fondo troppo serio e onesto per volere che sia un gioco mortale. Ma è questo decadere di tutta me stessa, questo franare senz’argini che mi atterrisce e non vedo nessuna salvezza.
Forse, se potessimo essere ancora vicini, credere insieme a tante cose che ci sono care in comune, sarebbe diverso. Hai letto Bisogno di una sorella di Civinini? Ecco, tu sei stato così per me: quell’essere di sesso diverso, così vicino che pare abbia nelle vene lo stesso tuo sangue, che puoi guardare negli occhi senza turbamento, che non ti è né di sopra né di fronte, ma a lato, e cammina con te per la stessa pianura. Con te ho vissuto la morte del povero Gianni, una sera; abbiamo cullato in un treno domenicale le nostre malinconie simili e diverse; un giorno abbiamo ascoltato June in January e le tue poesie mi hanno fatto piangere, non forse per quello che dicevano, ma per il mondo di battiti che mi facevano nascere dentro e quella certezza, che solo la tua poesia sapeva crearmi quel mondo e solo quel mondo era la mia vera e più pura vita. [...]
Antonia Pozzi