domenica 17 gennaio 2016

Mi piacciono le calze che rassodano le tue gambe.


Mi piacciono le calze che rassodano le tue gambe. Mi piace il busto che sostiene il tuo corpo tremante le tue rughe i tuoi seni ballonzolanti la tua aria affamata la tua vecchiaia contro il mio corpo teso la tua vergogna davanti ai miei occhi che sanno tutto I tuoi vestiti che odorano del tuo corpo marcio. Tutto questo alla fine mi vendica. Degli uomini che non hanno voluto saperne di me Vuoi il mio ventre per nutrirti vuoi i miei capelli per sfamarti vuoi le mie reni i miei seni la mia testa rasata vuoi che muoia lentamente lentamente che mormori morendo parole infantili. (…) Voglio mostrami nuda ai tuoi occhi melodiosi. Voglio che tu mi veda mentre urlo di piacere. Che le mie membra piegate sotto un carico troppo pesante ti spingano a gesti blasfemi. Con i capelli lisci della mi testa offerta rimangano sospesi alle tue unghie ricurve di furore. Che ti tenga in piedi cieco e devoto Guardando dall’alto il mio corpo spiumato. Ti piace dormire nel nostro letto disfatto non ti disgustano i nostri antichi sudori le lenzuola sporche di sogni dimenticati le nostre grida che risuonano nella camera buia tutto questo esalta il tuo corpo affamato la tua brutta faccia alla fine s’illumina perché i nostri desideri di ieri sono i tuoi sogni di domani Joyce Mansour (1928 – 1986) da Grida, (1953), traduzione di Mauro Conti
Ma Joyce è donna generosa, che sa dispensare amore, incondizionatamente, è nella sua natura, il suo bruciare di passione nei confronti dell’uomo-amante, laddove amori visionari e morte evocano presagi surreali
L'ombra delle parole


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