Mi preoccupavo perché ero convinto che non sarei mai stato capace di dirle niente di interessante o di divertente su un qualsiasi argomento. Temevo gli altri uomini che frequentavano il suo corso di design, e mi convinsi che mi avrebbe lasciato per mettersi con un uno di loro. Mi lasciò per mettersi con uno di loro.
Ci sono certi che non hanno mai superato gli anni sessanta, o la guerra, o la sera in cui il loro complesso fece da spalla al concerto dei Dr Feelgood, allo Hope and Anchor, e passano il resto della loro vita camminando indietro; io non ho mai veramente superato Charlie. Fu allora che cominciò la mia cosa più importante, quella che davvero mi ha segnato. Alcune delle mie canzoni preferite: « Only love can break your heart » di Neil Young; « Last night I dreamed that somebody loved me » degli Smiths; « Cali me » di Aretha Franklin;
« I don't want to talk about it », chiunque la cantasse. E poi vengono: « Love hurts » e « When love breaks down » e « How can you mend a broken heart? » e « The speed of the sound of the loneliness » e « She's gone » e « I just don't know what to do with myself» e... alcune di queste canzoni le ho ascoltate in media una volta a settimana (trecento volte il primo mese, poi solo di tanto in tanto), da quando avevo sedici, o diciannove, o ventun anni, a oggi. Questo come potrebbe non lasciare un segno? Come potrebbe non trasformarti nel genere di persona destinata ad andare in pezzi quando il primo amore se ne va?
Cosa è venuto prima, la musica o la sofferenza? Ascoltavo la musica perché soffrivo? O soffrivo perché ascoltavo la musica? Sono tutti quei dischi che ci fanno diventare malinconici?
Nick Hornby,
Alta fedeltà,
Nessun commento:
Posta un commento
commenta questo post