La morale della favola è appunto che nessuno di noi si riconoscerebbe, se qualcuno non ci dicesse: Questo sei tu. E va bene cosí, non c’è ragione di vergognarcene. Perché mai dovremmo riconoscerci in qualcosa di esterno, se non di estraneo, alla nostra persona; qualcosa che è parte del mondo che ci circonda e della cui effettiva esistenza a volte dubitiamo?
I guai, come spesso capita, si manifestano in un secondo momento, a coscienza acquisita, dopo che ci è stato rivelato l’inganno. Perché, anche in seguito, molti fra noi continuano a non riconoscersi. Si scrutano e, anziché sé stessi, vedono un impostore, un attore che li imita, e pure male. Non potendo confessare qual è la loro impressione senza essere presi per pazzi, si convincono che quella copia infedele sia davvero il loro riflesso, finendo per non piacersi, per odiarsi, e siccome l’odio è un sentimento al quale è facile affezionarsi, a forza di guardarsi allo specchio, una buona parte di questi increduli scontenti sviluppa una contorta forma di odio verso sé che va sotto il nome di narcisismo.
Noialtri spiriti meno impulsivi, invece, menti piú filosofiche o almeno melanconiche, restiamo abbarbicati al nostro scetticismo. Insistiamo nel pensare che il riflesso non ci rappresenti, ma evitiamo di dire apertamente: Quello non sono io. Non siamo mica tanto pazzi. Lavoriamo di fino.
Tommaso Pincio
- Che tortura gli specchi
- Il nostro falso specchio
- il nostro volto appare cosí diverso dall’immagine interiore che abbiamo di noi
- una modalità inversa a quella dei vampiri
- gli specchi trappole