Mariangela Gualtieri
Io non so se la solitudine, se quello
strazio chiamato solitudine, se quell’andare
via dei corpi cari, se quel restare soli
dei vivi, io non so se quel lamento della
solitudine, se quel portarci via le facce
se quel loro sparire
di facce che avevamo dentro il respiro, non so
se il dono sia questo portarci via le
carezze, questa slacciatura.
Monologo del non so
Io non so se questa mia vita sta spianata su un buco vuoto. Non so se il silenzio che indago è intrecciato alla mia sostanza molle. Io non so se quello che cerco e ho cercato e cercherò, non so se quello che cerco è un insulto a quel vuoto. Non so se questo fatto di non avere un paio di ali, sia premio o castigo, io non so se la polveriera della mia inquietudine sia un trono su cui mi siedo minacciato, se la fuga che a scatti regolari mi pungola, se quel puerile sogno di fuga sia uno sgambetto d’angelo, d’un buffone d’angelo che mi vuole inciampare. Io non so se l’amore sia una guerra o una tregua, non so se l’abbandono d’amore sia una legge che la vita cuce fino al ricamo finale. Io non so che farmene di questi nemici che premono, non so che farmene oggi di questo oggi e me lo ciondolo fra le dita perplesse, non so parlare quello che è sentito nel profondo me, non so parlarlo quell’essere qui presente fra le vite degli altri. Io non so spiegarmi l’imperturbabilità di Dio, e non mi spiego di non udire il suo grave lamento, il suo urlo di collera o d’amore, e non so vederlo che sono in cecità ma vorrei sentirlo almeno piangere come piango io guardando le facce indolorate, guardando le facce con grave malattia terrestre, io non so invocarlo né bestemmiarlo che è troppo nella sottrazione e troppo astratto per i miei chili umani. Io non so forse non voglio consegnarmi negli uffici del mondo, e stare buono nelle sale d’aspetto della vita. Io non so nient’altro che la vita e molte nuvole intorno che me la confondono me la confondono e non so cosa aspetto, cosa sto aspettando in questo sporgermi al tempo che viene. Io non so e vorrei, vorrei, non so stare fuori misura, fuori misura umana, fuori da questa taglia finita. Io non so perché guardando l’acqua del mare mi salta in petto una gioia di figlio con la madre. Non so se questa uscita mia in un secolo a caso, se questo essere qui a casaccio, io non so spiegarmi questa malattia all’attacco del mondo, non so guarire questa malattia che indolora e vorrei sistemare ogni cosa, in un sogno puerile di tregua, in un’arcadia anche retorica, in un dormire abbracciato dei guerrieri che si innamorano. Io non ho capito e dovrei, non ho capito il mondo della vita, io non ho capito la legge sottostante e non ho da fare la consegna a questi eredi cuccioli che aspettano, che esigono da me l’aver capito. Io non so la canzone che spensiera e non so soccorrervi non so pur volendolo con quella forza di cagna che dà il latte, non so soccorrervi nel vostro sbando, io non so farvi un canto della guarigione, non so farvi da balsamo io non so mettervi nel coraggio essenziale, nello slancio, nel palpito. Il mio Graal l’ho ritrovato e perso cento volte. Io non so se le particelle piriche del mio disagio fanno una miccia che incendia. Non so se l’Attila del mondo ha una forza che straborda le mie dita pacifiche, non so se indurlo a guerrigliare, non so se indurlo se sedurlo se ridurlo a sagoma di sogno, non so se alzare bandiera bianca o finirò impantanato nella sua normalità stupefacente, nella sua normalità di Attila che fa terra bruciata, non so se battermi, essere patriota di un’idea sollevata, non so se fare il giuramento alla primavera che dice la sua infiorando e incantando, non so se slanciarmi nel cataclisma barbarico e dare un goccio d’acqua alle bocche screpolate dei fratelli, non so se fare il giuramento a questa tregua domestica, se fare il giuramento delle pance satolle o azionare un voltafaccia che strozza ogni boccone. Non so se nell’uno o nell’altro caso sono salvo, se sono salvo quando viene l’angelo col suo atto d’accusa, e ci condanna ancora ad una logica finanziaria e poi dà l’ordine di sospendere le vite. Io non so se la bellezza è questa accademia di centimetri, se la bellezza, la bellezza è questa carnevalesca decadenza di saltimbanchi, io non mi spiego la crocifissione della grazia, e non mi spiego perché mi trovo qui, in questo covo rivoltato in questa fossa con gli orchi attuali in questo lato barbarico della specie, e non so perché stando ad occidente non si ode quell’alleluia delle cose. Io non so se in questa schiena senza ali ci sono grandi pianure da cui fare il decollo, se in questa spina dorsale ci sono istruzioni per la manovra di decollo, se sono io la freccia di questo arco della schiena, se sono io arco e freccia, non so in quale mano non mano o zampa di Dio mi stanno torchiando, e sottoponendo al duro allenamento dei dolori terrestri. Io non so se la solitudine, se quello strazio chiamato solitudine, se quell’andare via dei corpi cari, se quel restare soli dei vivi, io non so se quel lamento della solitudine, se quel portarci via le facce se quel loro sparire di facce che avevamo dentro il respiro, non so se il dono sia questo portarci via le carezze, questa slacciatura. È poco il poco che so e di questo poco io chiedo perdono. Io chiedo perdono per quello che so, perdono io chiedo per tutto quello che so.Mariangela Gualtieri
You might also like:
- indice delle poesie di Mariangela Gualtieri
- indici degli autori (elenco delle poesie di alcuni autori)
- le letture del blog (citazioni di libri presenti nel blog)
Nessun commento:
Posta un commento
commenta questo post