Elena Stancanelli
Le nuove fotografie della fica di Cane erano molto più elaborate delle precedenti. Dodici, scattate in un altro ambiente, con una luce diversa. Anche lei sembrava più adulta. Una sciocchezza, è chiaro. Era sempre Cane e aveva la stessa età, settimana più settimana meno. In queste nuove foto mostrava però alcuni particolari del viso. Gli occhi bistrati, truccati come fosse una geisha, la bocca rossa di rossetto.
Sembravano molto meno innocenti. Pur trattandosi di foto di genitali esposti, le altre avevano una specie di candore fanciullo. Queste no. Erano decisamente più porche.
Mi facevano malissimo.
Dovevano essere state fatte in un bagno. La parete di una vasca faceva da sfondo e a terra c’erano piastrelle bianche. Non era una casa, perché nonostante avessi ingrandito, girato, scurito e schiarito le foto, non mi era apparso niente che desse la sensazione di un luogo vissuto. Era un albergo, ma non un albergo di lusso. Sembrava piuttosto uno di quei bed and breakfast di paese, forse di montagna. Quelli con le tendine e la coppia di asciugamani lisi, uno diverso dall’altro.
Cane portava una vestaglia di seta rossa con un disegno giapponese. Stavolta si era fotografata anche il seno, in uno scorcio dall’alto che arrivava fino alle gambe. Il torso di Cane, che vedevo per la prima volta, era coperto di nei di diverse dimensioni. Aveva una pelle chiara e tutta punteggiata, inaspettata per una mora. In particolare aveva un grosso neo molto scuro a metà tra il seno e l’ombelico, sulla parte destra del corpo. Quando la tensione era troppo forte, mi concentravo su quel neo e cercavo di riprendere fiato. Ma per la maggior parte del tempo era la sua fica a prendersi tutta l’attenzione.
Se Cane aveva mandato a Davide delle immagini nelle quali si infilava cose nella fica, questo doveva significare che infilare cose nella sua fica era una pratica che avevano già condiviso. O avrebbero presto condiviso, o avevano parlato di condividere. Forse lei al telefono gli aveva spiegato nel dettaglio come lo faceva e Davide, in preda a un orgasmo incontrollabile, le aveva detto fammi vedere, subito. Cose di questo genere. Quello che era certo è che Cane non poteva aver mandato delle foto del genere rischiando che lui le trovasse volgari, o peggio ancora poco eccitanti. Era andata sul sicuro, per forza.
Ma la cosa più grave, che rendeva quella loro complicità un vincolo insolvibile ai miei occhi, è che uno dei due oggetti utilizzati per le foto mi era sembrato, dopo averlo guardato per ore, un attrezzo di quelli con cui Davide lavora. Un piccolo strumento per avvitare e svitare, qualcosa con un manico di plastica e una punta di ferro come ce n’erano molti nella sua officina. Nonostante non ne fossi sicura, la sola possibilità che si trattasse di uno dei suoi attrezzi, e che quindi quelle foto testimoniassero un gioco erotico così perfetto, mi feriva a sangue. L’altro oggetto invece, per quanto di forma bizzarra, poteva anche essere un dildo. Viola, trasparente. Un tubo grande come una lattina di Coca-Cola. Del tipo nuovo, più alto e più stretto. Di aspetto per niente realistico, non era modellato per somigliare a un cazzo. Il dettaglio interessante era che dentro aveva una specie di tubicino, collegato a qualcosa di esterno che poteva essere l’estremità di uno stantuffo. Apparentemente aveva la funzionalità di una grossa siringa, che sembrava poterle sparare dentro chissà che cosa. Non avevo mai visto un dildo con questo aspetto.
Non tutte le dodici foto del secondo invio contemplavano l’uso di quei due oggetti. Cinque erano simili alle precedenti, tranne il fatto che nell’inquadratura appariva anche il seno, o almeno una parte del torso. Con una mano Cane reggeva il telefonino o la macchina fotografica, con l’altra teneva aperte le labbra, giocava col clitoride, si accarezzava. Quattro erano quelle col tubone viola, tre le altre, quelle in cui compariva l’attrezzo per me ancora più inquietante del tubone. In tutte le foto si vedeva o si intravedeva il volto. Particolare che significava prima di tutto che lei si fidava di più. Aveva messo Davide in una posizione di forza, spedendogli fotografie hard nelle quali poteva essere riconosciuta. Era il segno di qualcosa, di una fase di maggiore complicità tra loro forse. Ma un altro dettaglio mi colpiva. Il viso di lei, che si vedeva o intravedeva sempre, aveva un’espressione un po’ arcigna. Non dimostrava mai nessun piacere, nessun abbandono a quelle pratiche. Cane si infilava roba dentro con praticità spiccia, sembrava volesse soprattutto dimostrare di saperlo fare. Come un gioco di prestigio. Una sfida. C’era qualcosa di sprezzante in quello sguardo. Perché?
Elena Stancanelli
La femmina nuda
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